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Al-Qarafa, il cimitero dei vivi del Cairo

“Camminavo piano, facendo attenzione a non fare troppo rumore quasi come se avessi paura di svegliare i morti.”

Da lontano, un odore di bruciato annunciava la presenza di qualcuno mentre mi perdevo tra cancelli semi aperti da cui si intravedevano le tombe e panni stesi ad asciugare al sole. Un contrasto che, ad un visitatore poco abituato a certi posti, avrebbe potuto sembrare illogico, ma che per me impersonificava il cantastorie di questo luogo sospeso.

Camminavo seguita dai cani abituati alla presenza umana, di tanto in tanto addentrandomi tra gli stretti corridoi di terra che univano una tomba all’altra. Ad un certo punto, mi fermai per decifrare una scritta cancellata dal tempo.
Sentii qualcosa sfiorarmi la gamba e istintivamente la ritrassi. Era un pallone sfuggito ad un bambino che giocava poco distante. Lo presi e glielo tirai, ricambiata da un sorriso di denti bianchissimi. Mi chiesi da quanto tempo vivesse lì, che cosa facesse, se andasse a scuola. Non ebbi nemmeno il tempo di immaginare la sua giornata che sparì, come fosse stato un fantasma venuto a darmi il benvenuto nella terra dei vivi tra i morti.

Avevamo letto che saremmo potuti andare da soli ad Al-Qarafa, ma non avevamo voluto rischiare di ritrovarci in balia di noi stessi in un posto che non conoscevamo. Eravamo con la nostra guida che camminava davanti, le braccia incrociate dietro alla maglietta rossa. Si vedeva che non capiva perché fossimo voluti andare lì, tra i tanti posti che c’erano da visitare al Cairo.
Aspettava di sicuro il segnale di via per poterci portare, senza il nostro totale consenso, a vedere qualche negozio o spettacolo per turisti. Lo avevamo intuito dalle domande che faceva. “Cosa ci trovate di interessante qui?”. “La vita” risposi, mentre mi guardava incredulo “La vita!”.

Era sempre più confuso dai miei scatti fotografici, dai dettagli che cercavo di immortalare mentre un gruppo di galline si godeva il sole. Il fascino delle cose consumate dal tempo, per me, non ha eguali. Squarci, pezzi di cose, strappi, elementi che si staccano dal contesto per diventare come gioielli al collo della cameriera della regina. Ne era pieno quel posto, pullulava di tesori che nessuno avrebbe considerato tali e che forse non avrebbe nemmeno guardato perché privi di significato.

Nel silenzio scorsi una piccola casa in mezzo ad alcune tombe, una signora affaccendata a preparare da mangiare ci chiese se avevamo bisogno di qualcosa. È proprio vero che chi non ha nulla spesso possiede molto di più di chi ha tutto, pensai.
Ad un tratto mi sentii strattonare il braccio “È ora di andare”. Dal luogo di nessuno a nessun luogo. La città dei morti annullava in quell’istante la concezione di spazio, tutto quello che era altro veniva da me visto come un’idea passeggera, momentanea.

Un senso di non appartenenza e di disorientamento mi accompagnò per tutta la strada di ritorno, fino alla macchina. Tornai alla realtà solo quando sentii suonare il clacson in mezzo alle strade trafficate del Cairo. E ancor oggi non so se è stata solo la parentesi di un sogno o se davvero c’è chi fonda la sua identità su vortici di energie che ancora mi sfuggono. Ma è stato bello, oh se è stato bello per un attimo sentirsi scorrere di verità.

– Oriana

Se ti è piaciuto questo articolo allora ti consigliamo di dare un’occhiata alla rubrica personale di Oriana: “PENSIERI A BORDO STRADA”.

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